L’anima del gusto

Le stelle della cucina di Langhe Monferrato e Roero

L’anima del gusto

Ottobre 14, 2022 Contributi 0

Testo critico di Denis Curti

Qui troviamo il cuore pulsante della città di Alba. La morbidezza dei sentieri di Langhe, Monferrato e Roero. E poi quella luce speciale, direi armonica, che disegna i profili delle colline e piano piano illumina i volti di quegli uomini e di quelle donne che, più volte, il vicino di casa Paolo Conte ha raccontato. Ed è sempre qui che si respira quell’aria febbrile dell’eccellenza culinaria, che si snoda tra paesaggi che paiono immutati e indimenticabili offerte gastronomiche che vi si allineano, senza incertezza alcuna, sul piano di un’esperienza sensoriale. 

Lo stessa parola “Langhe”, forse non a caso, richiama poi foneticamente – e ancor più nel dialetto piemontese – il termine “lingue”, riferendosi presumibilmente all’osservazione delle forme sinuose di questa terra. Quelle lingue che oggi invece ci riportano al gusto e a contemplare una nuova grammatica, per mettere in fila i nomi di ben diciotto chef d’eccezione, che Fabio Bonanno ha ritratto con uno sguardo da reporter di strada. Ecco, il nostro street photographer ce li presenta uno ad uno, sempre al riparo di quel tepore generato dall’attività dei loro ristoranti. Ognuno di loro si mostra per quello che è, senza finzioni, certamente in posa, ma senza forzature: c’è chi impugna coltelli come bacchette da direttore d’orchestra e chi è intento a disegnare nuovi orizzonti da assaggiare. La somma totale restituisce quantità umana e architetture culinarie, degne del genio progettuale di Zaha Hadid. Ogni sequenza contribuisce a creare un scenario idilliaco fatto di profumi e gusti inebrianti. Viene quindi spontaneo domandarsi: chi sono davvero queste menti geniali, tanto abili da concretizzare il climax orgiastico del nostro miraggio gustativo?

La figura stessa dello chef è spesso circondata da un alone di fascino; ci appare come un individuo austero, accerchiato dal muro invalicabile del suo successo. Ci immaginiamo uomini e donne professionalmente impeccabili, talmente ligi alla loro disciplina da condividere le medesime capacità direzionali di un generale dell’esercito. Ed è proprio agganciandosi a questo giallo percettivo che Fabio Bonanno, insieme a Stefania Colombo ideatrice del progetto Photo Gourmand, capta l’appetibile importanza di testimoniare l’essenza personale di questi giganti della tavola. Seguendo l’andamento di una ritualità annuale e ciclica, tra il 2021 e il 2022, nasce così Étoiles: una raccolta sistematica di azioni e sguardi che legano indissolubilmente la meticolosa visione creativa di un fotografo energico con il fascino culturale del buon cibo. 

Bonanno, con il suo approccio diretto, sembra quasi fuoriuscire dalla squisita penna dello scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán. Di fatto, calandosi figurativamente nei panni dell’arguto ispettore Pepe Carvalho dimostra un perfetto equilibrio di empatia e provocazione. Si aggira furtivamente tra le spigolose protuberanze metalliche di queste istituzioni della ristorazione per restituire una visione globale e non standardizzata dell’uomo oltre l’armatura dello chef. Il suo obiettivo punge fisicamente ciascuna persona, la assale ricercando una reale genuinità comportamentale. In buona sostanza Bonanno riesce, con una manciata di minuti a disposizione, a destrutturare le basi classiche della fotografia di ritratto. Padroneggiando con garbo una modalità intrusiva, fatta di inquadrature bisecate e contrasti corposi, scardina ogni staticità formale per innescare una pura connessione emozionale con il soggetto. Di più, attraverso queste immagini Bonanno rende palpabile la sua appartenenza alla scuola di William Klein: una fotografia sovversiva che rifiuta il mendace ausilio di fondali e luci da studio per rompere i cliché impersonali della food photography tradizionale. Le sue immagini vengono scattate “di pancia”, in maniera istintiva per poi essere inumidite con un uso del bianco e nero crudo, quasi selvaggio. Il ricorrente manifestarsi di uno sfondo mosso e dinamico, congela all’interno di ogni fotogramma gli chef in pose stravolte dall’intima devozione della loro gestualità. L’intento dell’autore è quello di restituire alla collettività una nuova iconografia, scevra da qualsiasi stereotipo descrittivo e diretta a trasmettere all’osservatore la passione e la concertazione che ciascun cuoco riversa nelle sue creazioni. Le sue ombre sono consistenti e le sue luci abbaglianti invadono vigne, colline, strade, e sono capaci di generare un’estetica dal sapore giacomelliano nella quale un manto di umanità pone contemporaneamente fotografo e fotografato sul piano della meraviglia estatica. 

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